È
conosciuta l’efferatezza dei regimi liberticidi nel praticare la
censura e la violenza fisica, nonché psicologica, contro gli
oppositori di regime e per silenziare e reprimere gli intellettuali e
artisti dissidenti. Tra i fatti più recenti, basti ricordare il
clima da caccia alle streghe che si è venuto a instaurare in Turchia
dopo il “fallito” golpe del 2016. Fino a pochi anni fa, per la
vivacità artistica e della vita notturna, Istanbul, era considerata
méta ambita dai giovani Underground di mezza Europa, soprattutto
Berlinesi. Io stesso ho pensato di andarci a vivere ma ora è
diventata una meta off-limits.
Nondimeno,
questo tipo di censura e repressione - oltre a fare molto male – è
però in grado di generare forme di resistenza sociale ed espressioni
artistiche underground che, alla fine, in un modo o nell’altro,
riescono ad emergere attraverso i circuiti della solidarietà
internazionale e, oggi, grazie alla diffusione virale nei tam tam sui
social network.
Ma
che tipo di censura si pratica qui da noi? E soprattutto fa meno
male?
Nei
paesi democratici (che tali sono perché al loro interno esiste una
qualche forma di opposizione o contropotere), la censura più brutale
e diretta, per esempio, quella esercitata attraverso gli organi
giudiziari - Vedi Erri De luca - o, attraverso minacce mafiose –
vedi Roberto Saviano – o, di altro tipo ancora, produce più spesso
l’effetto contrario a quello desiderato: generare popolarità e
solidarietà verso chi la subisce.
Esiste
però una forma più strisciante di censura in vigore in alcuni paesi
democratici, tra cui l’Italia che a dire il vero censura non è
chiamata: riguarda la selezione dei contenuti da veicolare, la loro
ghettizzazione in generi, la loro pubblicazione ad opera di case
editrici, case discografiche, ecc. Che, attenzione, non si chiama
neppure “libero mercato”, come i più scafati suggeriscono. Non è
il mercato a farla da padrone in questa forma di censura. Infatti,
molte delle opere create da artisti e intellettuali, pur non essendo
dagli stessi cestinate, anni e anni di lavoro e meticolosa dedizione,
non arrivano mai al mercato, o, comunque, rischiano di perdersi nei
meandri dell’iperproduzione d’informazioni che rappresenta oggi
internet.
Questa
forma di censura non è meno pericolosa per l’artista e
l’intellettuale. Questa censura in Italia ha tanti nomi, lame che
trafiggono il cuore dell’artista e dell’intellettuale. Il nome
della censura nel nostro paese si chiama mediocrità, analfabetismo
(di ritorno), gerontocrazia, impunità e, non meno importante,
disuguaglianza nelle pari opportunità.
Simone
Ramilli, scrittore, si riconosce nel filone di studi di biopolitica
denominato “Italian Teory”. Nel 2007 per Tecniche Nuove ha
pubblicato “Le origini della malattia” e nel 2015 “La cura.
Liberi da paure e malattie”. Nel 2017 ha pubblicato per Pendragon
“Appello agli abitanti della Terra contro il cancro della paura”.
Simone Ramilli - Scrittore
Simone Ramilli - Scrittore
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