martedì 28 febbraio 2017

Come si chiama in italia la censura? - Simone Ramilli

È conosciuta l’efferatezza dei regimi liberticidi nel praticare la censura e la violenza fisica, nonché psicologica, contro gli oppositori di regime e per silenziare e reprimere gli intellettuali e artisti dissidenti. Tra i fatti più recenti, basti ricordare il clima da caccia alle streghe che si è venuto a instaurare in Turchia dopo il “fallito” golpe del 2016. Fino a pochi anni fa, per la vivacità artistica e della vita notturna, Istanbul, era considerata méta ambita dai giovani Underground di mezza Europa, soprattutto Berlinesi. Io stesso ho pensato di andarci a vivere ma ora è diventata una meta off-limits.
Nondimeno, questo tipo di censura e repressione - oltre a fare molto male – è però in grado di generare forme di resistenza sociale ed espressioni artistiche underground che, alla fine, in un modo o nell’altro, riescono ad emergere attraverso i circuiti della solidarietà internazionale e, oggi, grazie alla diffusione virale nei tam tam sui social network.
Ma che tipo di censura si pratica qui da noi? E soprattutto fa meno male?

Nei paesi democratici (che tali sono perché al loro interno esiste una qualche forma di opposizione o contropotere), la censura più brutale e diretta, per esempio, quella esercitata attraverso gli organi giudiziari - Vedi Erri De luca - o, attraverso minacce mafiose – vedi Roberto Saviano – o, di altro tipo ancora, produce più spesso l’effetto contrario a quello desiderato: generare popolarità e solidarietà verso chi la subisce.

Esiste però una forma più strisciante di censura in vigore in alcuni paesi democratici, tra cui l’Italia che a dire il vero censura non è chiamata: riguarda la selezione dei contenuti da veicolare, la loro ghettizzazione in generi, la loro pubblicazione ad opera di case editrici, case discografiche, ecc. Che, attenzione, non si chiama neppure “libero mercato”, come i più scafati suggeriscono. Non è il mercato a farla da padrone in questa forma di censura. Infatti, molte delle opere create da artisti e intellettuali, pur non essendo dagli stessi cestinate, anni e anni di lavoro e meticolosa dedizione, non arrivano mai al mercato, o, comunque, rischiano di perdersi nei meandri dell’iperproduzione d’informazioni che rappresenta oggi internet.
Questa forma di censura non è meno pericolosa per l’artista e l’intellettuale. Questa censura in Italia ha tanti nomi, lame che trafiggono il cuore dell’artista e dell’intellettuale. Il nome della censura nel nostro paese si chiama mediocrità, analfabetismo (di ritorno), gerontocrazia, impunità e, non meno importante, disuguaglianza nelle pari opportunità.

Simone Ramilli, scrittore, si riconosce nel filone di studi di biopolitica denominato “Italian Teory”. Nel 2007 per Tecniche Nuove ha pubblicato “Le origini della malattia” e nel 2015 “La cura. Liberi da paure e malattie”. Nel 2017 ha pubblicato per Pendragon “Appello agli abitanti della Terra contro il cancro della paura”.

Simone Ramilli - Scrittore

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