martedì 16 febbraio 2016

Tore Panu - Contributo critico alla Carta dei Diritti Civili dell'Artista

Seguo da anni, quando e come posso, l'iniziativa Music Freedom Day, grazie all'invito sempre rinnovatomi personalmente dalla promotrice Chiara Stefani. Recentemente ho tradotto in francese la Carta dei Diritti Civili dell'Artista, alla cui elaborazione e stesura non ho potuto partecipare. Ho quindi letto molto attentamente il testo per tradurlo e pur apprezzando l'iniziativa preferisco non dilungarmi qui negli elogi e nel sottolineare i tanti aspetti interessanti di questa iniziativa e la stima personale, ma esprimere piuttosto, con sincerità e rispetto per il lavoro fatto da altri, i miei dubbi e le mie perplessità.
Premetto che in generale le “Carte”, i “Manifesti”, le “Dichiarazioni”, hanno per me una importanza relativa, nel senso che tendono a una generalizzazione, a una sintesi, a una cristallizzazione delle problematiche che spesso limita la loro importanza storicamente, sovente pochi le rispettano, diventano come dei fari a volte un po' ideologici che non illuminano abbastanza i micro-fenomemi quotidiani e locali.
Venendo al dunque, la prima domanda che mi pongo, leggendo la carta, è: chi è l'Artista di cui si parla? Chi definisce questa figura sociale? Chi si auto-definisce Artista? Chi viene definito Artista?
C'è forse in generale una confusione di fondo nel mischiare problematiche inerenti i diritti umani con altre che riguardano i diritti civili e sociali sotto forma di rivendicazione di ordine piuttosto sindacale.
Proseguendo nella confusione mi pongo la domanda conseguente: cos'è l'Arte di cui si parla? Chi definisce che una pratica o un'opera è Arte nella società? Di quale società? Passata? Futura? Presente? Occidentale? Bolognese? Degli indios di tutto il mondo in via di estinzione? Degli zingari? Di Sanremo? Dei jazzisti? C'è un problema di ordine estetico.
Intravedo inoltre una confusione di piani generali (i primi due articoli tipici di una Dichiarazione Costituente) e particolari (rivendicazioni specifiche tipiche di normative e applicazioni di legge).
Nel mondo in cui viviamo nessuno oserebbe negare la validità dei primi due articoli, il discorso si fa quasi ovvio e scontato, proprio perché già sviscerato da altre Costituzioni e Dichiarazioni Universali ormai largamente accettate teoricamente. E' piuttosto nelle condizioni pratiche che riguardano gli altri articoli che le cose si fanno più ardue. Penso che sarebbe meglio separare il discorso e farne delle vere e proprie rivendicazioni, ma a questo punto diventano per forza problematiche locali e non generalizzabili a tutta l'umanità. Inoltre l'articolo 2 parla di “patrimonio” e “valore”, due termini economici che mi piacerebbe provocatoriamente sostituire con “matrimonio” culturale e “uso” sociale delle pratiche artistiche.
Venendo alle “rivendicazioni”, personalmente non so se aderirei ad una campagna per ottenere il riconoscimento burocratico di nuove “categorie professionali”, anzi, forse è proprio la “professionalizzazione”, illichianamente parlando, il problema. Il nocciolo duro è proprio nel tentativo di uscita da una logica di mercato e di spettacolarizzazione, di mercificazione, poco importa se quella logica è etero-gestita o auto-gestita, anzi, forse ci hanno colonizzato il mondo della vita (Habermas) e l'immaginario (Castoriadis) se abbiamo interiorizzato quella logica e la auto-produciamo noi stessi.
Non si può poi generalizzare la questione dell'artista-autore, perché ci sono culture in cui non esiste questa concezione, sia storicamente sia oggi nel pianeta terra, culture in cui l'individuo è singolare ma non autistico o egocentrico al punto di pensare di essere produttore di brevetti ad ogni scoreggia che gli esce per sbaglio.
Siamo parte del mondo in cui viviamo, siamo interpreti del mondo in cui viviamo, più o meno geniali e più o meno riconosciuti, più o meno utili agli altri, più o meno inutili agli altri, tutto qui, il resto sono questioni commerciali che riguardano le merci artistiche e umane.
Per quanto riguarda la “performance”, è un termine che viene spesso utilizzato oggi in ambito economico e spesso riguarda logiche “competitive”, cercherei quindi di trovare altri termini che esprimano meglio la condivisione di un “Duende”.
Per ciò che concerne la “formazione” devo dire che personalmente ho sempre prediletto l'auto-formazione e penso che la scuola pubblica sia molto diversa da una scuola popolare realmente autogestita collettivamente.
Questi sono solo alcuni spunti di riflessione anche un po' istintivi e non una critica polemica alle intenzioni dei redattori della Carta, spero di continuare a riflettere con voi tutti e vi saluto tutti non potendo partecipare il prossimo 5 marzo 2016.
TORE PANU

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