martedì 16 febbraio 2016

Anna Albertano - Il volto meschino della censura

Ho avuto modo negli anni d’incontrare persone colpite da censura, non solo culturale. Ricordo uno scrittore turco che a Istanbul non poteva esprimersi liberamente perché sorvegliato, un attore siriano in Italia che doveva usare uno pseudonimo perché controllato dai servizi segreti del suo Paese, ma anche uno scrittore arabo di fama internazionale che nelle interviste eludeva certe domande per evitare problemi di censura. E ricordo purtroppo uno dei fautori della censura nei confronti di una grande scrittrice egiziana, costretta all’esilio, invitato di recente a importanti manifestazioni culturali italiane, apparire nei media come personalità di rilievo del proprio Paese. La censura culturale, parte della censura in generale, è applicata abitualmente in regimi autoritari, ma come si sa, non manca neppure da noi, anche se imbocca altre vie.

Ci sono forme di censura che hanno condizionato e continuano a condizionare la stessa cultura nazionale determinando l’esclusione di opere letterarie e artistiche che non rientrano in certi canoni estetici, spesso si tratta di scelte a livello istituzionale operate con fondi pubblici, ma non solo, talvolta da commissioni composte da figure non sempre all’altezza del compito. Si potrebbe aprire un infinito discorso sulle strettoie imposte nei vari campi artistici e culturali da determinati orientamenti, sono scelte che nel tempo contribuiscono a caratterizzare l’espressione nazionale, se non a deformarne, sicuramente ad alterarne l’identità culturale. L’impoverimento che ne segue, per usare un tema caro agli ambientalisti, è pari a quello di un territorio ricco di  biodiversità ridotto a monocolture.

Poi c’è la censura nell’informazione. In tempi in cui la diffusione culturale è ostacolata dalla proliferazione di eventi e occasioni, spesso nella loro banalizzazione, e insieme da una crescente disaffezione, in un Paese in cui purtroppo la cultura non è affatto considerata un valore, o non abbastanza, tutto cade velocemente nell’oblio. Oggi, lo sanno tutti, per essere ad esempio scrittori, più che saper scrivere conta essere inseriti nei mezzi di comunicazione, non averne l’accesso è come non esistere, e i cerchi si stanno sempre più restringendo.
A chi non è capitato, seguendo le indicazioni delle pagine culturali di un quotidiano, di trovarsi di fronte ad un evento al di sotto di ogni attesa, e scoprire che lo stesso giorno nella stessa città si svolgeva magari un evento di importanza nazionale o internazionale e di non averne trovato alcuna menzione. Certo, possono esserci delle sviste, ma quando si ripetono rispondono a precise scelte. I media hanno un potere sconfinato, e il silenzio è una tra le forme più diffuse oggi di censura, praticata in modo sistematico.
Se in tempi di regime erano precisi obiettivi a determinarla, oggi sono più semplicemente interessi di parte. È comunque sconcertante che a rivendicare il diritto alla libertà d’espressione, siano spesso i peggiori rappresentanti di tale diritto, negando obiettività nell’informazione.

Come ho scritto a proposito di un film di Marco Bellocchio (La libertà dell’artista, in Immagini del potere. Il cinema di  Marco Bellocchio, Le Mani, 2009), chi è senza appoggi può solo “sparire”: ”Dopo tanti torti subiti… quest’anno il cinema italiano mi avrebbe riconosciuto… Ma vince un film mediocrissimo… Le parrocchie del cinema italiano, della sinistra, del centro… la destra no, non conta… Le bande si cercano, si contattano, si accordano, si scambiano i voti…” dice uno dei personaggi del film (Il regista di matrimoni), in un discorso in cui emerge che l’espressione artistica è compressa quando non soffocata da logiche e strategie che più che promuovere l’arte e la cultura hanno finalità di altro genere. Che sia per ottusità, invidia, opportunismo o spirito di consorteria, la qualità, il merito vengono ignorati, oscurati, non si dà  spazio alle eccellenze e si enfatizzano le mediocrità. E forse è giusta la sua conclusione, all’artista non resta che morire o darsi per morto: “C’e un solo modo per vincere: morire, tutti devono credere che sei morto… i necrologi parlano di ingiustizie, di risarcimento… I grandi intellettuali fanno autocritica in pubblico, i professori universitari che mi consideravano zero oggi obbligano i loro studenti a laurearsi su di me”. 
Forse davvero darsi per morti è l’unico modo per ovviare alla censura culturale, i morti non disturbano, non fanno ombra a nessuno.

ANNA ALBERTANO


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