mercoledì 24 febbraio 2016

Lettera aperta ai futuri liberi musicisti - Guglielmo Pagnozzi

Amiche e amici musicisti, 
è ora che ci svegliamo dal torpore e dall'annichilimento generale cui ci ha portato il lungo periodo di dominio della musica commerciale sulla nostra vita artistica. 
Quanti musicisti di talento conosciamo che si ritrovano a suonare per cantanti di successo solo per sbarcare il lunario, e quanti, per questo motivo, abbandonano la propria istintiva e naturale ricerca artistica, la propria personalissima e preziosissima via all'Arte? Quanti di noi hanno dovuto subire l'arroganza delle grandi produzioni, la mortificazione della propria generosità creativa in nome delle scelte di "produttori" e "artisti" molto spesso incompetenti e di basso profilo professionale? E quanti compagni di strada si sono persi, sedotti dalla mitica illusione che solo il successo commerciale giustifichi e sancisca il valore del percorso artistico di un musicista? 
La mercificazione della musica ci rende ingranaggi di un sistema piramidale e verticistico che arricchisce i soliti immancabili pochi e noti e rende schiavi tutti gli altri, tutti quelli che non hanno il nome in cartellone. 
Ebbene questo sistema, il cartellone, in verità si fonda proprio sulle competenze e la cultura di tutti quei musicisti che formano le band con cui i sedicenti "artisti" portano in giro la loro musica e fanno i loro dischi; musica e dischi ridotti ormai a mero genere di consumo industriale, semplici prodotti di mercato, non più libera espressione della sensibilità e della cultura umane ma cloni impacchettati pronti per gli scaffali del “supermercato dell’arte". 
E se da una parte potremmo definirci una classe sociale, in quanto lavoriamo in un unico settore e produciamo ricchezza (per di più non solo materiale) dall'altra, con buona pace della nostra dignità di classe, abbiamo già visto troppi ingegni rubati al libero sviluppo della cultura e dell’arte, obbligati ad ingoiare "rospi" musicali fino a perdere le tracce della loro vita artistica e professionale libera ed indipendente, della loro vera intima missione, del loro sogno più puro. 
Il danaro con cui viene comprata la nostra creatività è come un guinzaglio, che si allunga fino a ché il musicista addomesticato è autorizzato ad esplorare nuovi e più intimi territori, ma non un passo in più. 
L'omologazione dello stile e del gusto, pratica usata correntemente nella musica commerciale per creare un modello di consumatore sempre più controllabile ed indirizzabile a comportamenti collettivi omogenei (cioè un essere umano che non ha vera libertà di scelta, anche se crede di averla, ma è obbligato a scegliere tra una selezione che qualcun’altro ha preparato per lui) finisce col corrompere anche gli spiriti musicali più forti che con il tempo diventano inevitabilmente, e spesso inconsapevolmente, complici del sistema stesso che li rende schiavi; a volte essi stessi diventano i primi sostenitori dei loro sfruttatori e del modello musicale da essi promulgato, operando semplificazioni del loro gusto (costruito in anni di faticosi studi, passione ed integrità intellettuale) o elaborando sofismi sulla presunta qualità dello stile delle opere commerciali; e così cercano di convincere sé stessi e gli altri che non c’è nulla di male nella loro adesione a progetti di basso profilo artistico e, insisto, omologati dal punto di vista dello stile, ma remunerativi da quello economico. 
Chi entra nel meccanismo ha sì il vantaggio di godere di una minima stabilità economica (peraltro senza nessuna garanzia di continuità né di pensione!) ma la paga al prezzo della
libertà della propria anima creativa; e per di più, lasciatemi essere maligno, diventa un collaborazionista, un commesso, un kapò del Mercato e del Capitale. 
Chi non entra nel giro è condannato ad una vita da fame o poco ci manca; dai più è considerato a malapena un professionista serio, a differenza di quelli che si vedono in televisione o che hanno suonato con Tizio o Caio; molto spesso, dopo anni di ardua resistenza creativa, diviene vittima di disillusione, depressione e sfiducia nelle proprie scelte che finiscono col logorare la parte creativa che aveva così voluto difendere. 
In ogni caso chi ci rimette è il musicista, no di certo il Mercato né i suoi pupazzi ammaestrati. 
Per questo vi dico che la commercializzazione industriale è un flagello per la musica e per i musicisti, e finché questo mostruoso sistema non sarà riformato - ahimè sarebbe bello vederlo crollare ma forse l’umanità non è ancora pronta a togliersi dal collo il seducente giogo del Mercato - nessun musicista sarà libero di espletare veramente la sua arte, e sarà sempre in qualche modo censurato, privato della libertà di compiere la funzione umana che lo rende armoniosamente utile alla società. 
Ma se vogliamo che questo scenario cambi, ancor prima dobbiamo cambiare il nostro stesso atteggiamento: finiamola una buona volta con il vittimismo! Unione e solidarietà diventino le nostre parole d’ordine! Non stiamo più a lagnarci in attesa di un assistenzialismo che non arriverà mai; e nulla arriverà di buono per noi se non faremo sentire la nostra voce forte, con ogni mezzo a nostra disposizione. 
Non è difficile, basta decidersi e partire. 
Io farei così: decidiamo insieme una direzione, una linea di condotta e poi le mettiamo in pratica, vivendole nell’esistenza quotidiana. 
Qualche esempio? parlare e diffondere materiale di sensibilizzazione durante i nostri concerti, alle prove e in qualunque altro momento delle nostre attività pubbliche; provare a coordinarci e creare un vero sindacato dei musicisti, che parta dal basso e non da chi vuole difendere posizioni acquisite o categorie già favorite; sognare e  volere fortemente questo cambiamento, questa rivoluzione, come una preghiera e pure mettere il messaggio nelle nostre opere, trasfigurarlo in suoni e parole efficaci, che lascino un segno; e poi studiare e studiare e studiare, non solo musica: storia, filosofia, politica, letteratura oltre a tutti gli altri linguaggi di espressione artistica visiva,coreutica, ecc…  diventare artisti a tutto tondo; fondare ed animare riviste, blog, collettivi, centri culturali; e poi fare volontariato, donare e condividere i nostri saperi, insegnando gratuitamente a chi non se lo può permettere; insomma fare tutto ciò che serve per prendere consapevolezza che siamo una classe. 
Coscienza di classe. Coscienza di classe. Coscienza di classe. 
Senza coscienza di classe non c’è solidarietà, senza solidarietà non c’è unità, senza unità non c’è forza, senza forza non c’è cambiamento, senza cambiamento non c'è libertà. 
Soli siamo deboli, tanti siamo forti, insieme siamo liberi. 
Ce lo insegna la musica stessa.

Bologna, 9/2/2016 
GUGLIELMO PAGNOZZI

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