
Nel giornalismo è pressoché inevitabile scontrarsi con un titolo – fatto da terzi, cioè da chi sta al desk - che non accontenta l’autore dell’articolo, cioè non ne riflette lo spirito o mira ad enfatizzarne solo un aspetto. Nella scrittura narrativa possono esistere censure più sottili, può accadere che l’editore chieda di tagliare o modificare un passo poco politically correct.
A volte si tratta solo di divergenze di gusti, di orientamenti, in sostanza di persone; più spesso però, la censura – o nel migliore dei casi la “correzione”- scatta perché le case editrici, come i giornali, hanno un padrone, e non se ne può prescindere.
Avere coraggio significa non rinunciare a se stessi e alle proprie idee, pagare il prezzo che celebri e meno celebri firme stanno ancora scontando sulla propria pelle a livello di vita quotidiana, nel peggiore dei casi blindata da scorte e percorsi obbligati, o semplicemente afflitta da contestazioni e diatribe legate al proprio operato.
E anche nel privato, a chi non è capitato di reprimersi in nome del quieto vivere, generando poi spiacevoli equivoci sottotraccia? Come scrive Paul Elouard:
“Tutto è dir tutto e le parole mancano
E il tempo manca e mi manca l'audacia
Sogno e spartisco a caso le mie immagini
Ho mal vissuto e mal appreso a parlar chiaro…
Dire tutto macigni strade lastrici
Le vie i viandanti i campi ed i pastori
Le piume dell'aprile la ruggine d'inverno
Freddo e caldo congiunti in un frutto unico. (....)”
Le parole di un poeta, al cuore, dicono più delle leggi.
MICHELA TURRA
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